Le vaccinazioni: dieci risposte ai dubbi più comuni
A partire dal 2017, il calendario vaccinale italiano raccomanda 14 vaccinazioni per l’infanzia; 10 di queste, tra cui il vaccino combinato esavalente che protegge da difterite-tetano-pertosse-poliomielite-epatiteB-haemophilus influentiae e l’MPR antimorbillo-parotite-rosolia e varicella, sono obbligatorie e, se non effettuate, comportano l’impossibilità di iscrivere il bambino al nido o alla scuola materna e il pagamento di multe da parte dei genitori.
Le vaccinazioni, soprattutto quando riguardano un bambino piccolo, sono fonte di dubbi e di timori per i genitori (“Non sono troppi tutti questi vaccini?”, “Il bambino non è troppo piccolo per essere vaccinato?”).
Di seguito abbiamo raccolto le risposte ad alcune tra le domande frequenti e ricorrenti.
Non sono troppi?
Quattordici vaccini per i bambini (di cui 10 obbligatori) non sono troppi? Non rischiano di sovraccaricare il sistema immunitario? La somministrazione contemporanea di più vaccini non comporta dei rischi?
I dubbi sull’eccessivo numero di vaccini è uno tra i timori più frequenti dei genitori. È comprensibile che questo numero aumentato (soprattutto se paragonato al numero di vaccinazioni a cui è stato sottoposto chi oggi ha più di 30 anni) possa suscitare qualche perplessità e preoccupazione. Il sistema immunitario è, però, “progettato” per poterci difendere da una moltitudine di agenti patogeni, batteri, virus e funghi, che possono danneggiare il nostro organismo. Già al momento del parto, il sistema immunitario del neonato si trova a essere stimolato da una miriade di antigeni fino ad allora non conosciuti. Alcuni ricercatori degli Stati Uniti hanno stimato che teoricamente il sistema immunitario potrebbe “sopportare” senza“ingolfarsi” fino a 10.000 vaccini somministrati contemporaneamente. Ciò significa che i 10 vaccini oggi obbligatori, anche se fossero eseguiti nella stessa seduta, andrebbero a impegnare solo un millesimo della capacità totale del sistema immunitario. Inoltre, pur essendo aumentato il numero dei vaccini, con il passare del tempo è diminuito il numero degli antigeni somministrati, dal momento che i vaccini sviluppati in questi ultimi anni sono tecnologicamente più evoluti: ad esempio, il vaccino contro la pertosse utilizzato in passato (quello “a cellula intera”) conteneva circa 3000 antigeni, mentre l’attuale vaccino acellulare ne contiene 3. Sono proprio gli antigeni, e non più genericamente il vaccino, i tasselli con cui interagisce il sistema immunitario. I bambini che oggi effettuano le 10 vaccinazioni obbligatorie ricevono poco più della metà del numero di antigeni a cui sono stati esposti i loro nonni e i loro genitori vaccinati con le vaccinazioni obbligatorie negli anni ’60 e ’70 (difterite, tetano, poliomielite e vaiolo). Considerando tutti i 14 vaccini previsti per il primo e secondo anno di vita, il numero di antigeni è simile a quello a cui si era esposti in passato. Occorre, inoltre, considerare che prima di poter combinare insieme più vaccini nella stessa siringa o somministrare contemporaneamente le vaccinazioni, è necessario documentare con studi clinici formali che questo non comporta differenze rilevanti in termini di risposta immunitaria o di probabilità di effetti collaterali rispetto alla somministrazione separata dei singoli vaccini. Nella letteratura ci sono, dunque, numerosi studi a sostegno della possibilità di combinare i vaccini e/o di somministrarli nella stessa seduta vaccinale. Inoltre, ci sono studi che non hanno osservato una maggiore probabilità di ammalarsi di infezioni non prevenibili da vaccino nei bambini che hanno ricevuto un maggior numero di vaccinazioni.
Questi studi documentano come anche in bambini che ricevono più vaccini, il sistema immunitario è in grado di combattere efficacemente le infezioni.
Perché si inizia a vaccinare subito dopo i due mesi? Il bambino non è troppo piccolo?
Alcuni ritengono che il sistema immunitario del bambino sia fragile. Ma, come ricordato anche sopra, già al momento della nascita il neonato si trova a far fronte a batteri, virus, funghi che sono presenti nell’ambiente o sul corpo della mamma. Lo sviluppo del sistema immunitarioi nizia già durante la gravidanza: i linfociti B e T (cellule fondamentali per la risposta immunitaria) sono presenti alla 14a settimana di gestazione e sono già in grado di rispondere a molti antigeni; anche se finché rimane nell’utero materno il feto viene a contatto con pochi di questi. Il programma di vaccinazione inizia a 2 mesi compiuti (ossia dal 60° giorno di vita) per tre ragioni:
- a 2 mesi il sistema immunitario del bambino è già in grado di rispondere ai vaccini;
- attendere di più non aumenta la sicurezza della vaccinazione;
- dopo i 2 mesi l’eventuale protezione garantita dagli anticorpi della mamma scompare (gli anticorpi vengono eliminati) e ogni ritardo nell’inizio delle vaccinazioni prolunga il periodo in cui il bambino è suscettibile alle infezioni prevenibili con il vaccino.
Un ritardo può comportare dei rischi. Molte malattie, come per esempio la pertosse, sono più gravi e comportano rischi maggiori quando si verificano nei primi mesi di vita.
È vero che i bambini vaccinati possono essere contagiosi?
Questo rischio potrebbe esistere per due sole vaccinazioni contenenti virus vivi attenuati, vale a dire virus che possono dare una forma lieve di malattia: quelle contro la varicella e contro il rotavirus. Per il vaccino contro la varicella esiste il rischio, molto raro, di trasmissione del virus dal vaccinato a una persona non immune. In questo caso, però, la trasmissione non avviene per via aerea, come nel caso della varicella, ma per contatto diretto con le vescicole. Questo significa che solo chi sviluppa l’esantema potrebbe essere contagioso e che, per ridurre il rischio di contagio, è opportuno tenere coperte le lesioni. Come il virus “selvaggio” anche il ceppo contenuto nel vaccino antirotavirus può essere eliminato con le feci. Trattandosi di un virus attenuato non comporta rischi per le persone sane, ma è necessaria qualche cautela in più in caso di famigliari che hanno condizioni di salute o assumono farmaci che riducono la risposta del sistema immunitario. In ogni caso, nelle due settimane successive alla vaccinazione è particolarmente raccomandato il rispetto delle norme igieniche al momento del cambio del pannolino e della pulizia del bambino, che dovrebbero essere sempre osservate.
A tutt’oggi non è stata documentata la possibilità di contagio da persone vaccinate contro morbillo-parotite-rosolia. Tutti gli altri vaccini (che non contengono una forma viva attenuata di virus) non comportano un rischio di contagio.
Gli additivi contenuti nei vaccini sono pericolosi?
Nessuno studio ha mai dimostrato che gli additivi (adiuvanti e conservanti) alle dosi contenute nei vaccini possano determinare problemi di tossicità. I vaccini pediatrici attualmente disponibili non contengono thiomersal (un sale del mercurio impiegato fino al 2002 come conservante). La sua eliminazione è stata dettata dal principio di precauzione, nonostante vari studi epidemiologici non abbiano dimostrato conseguenze per la salute dei bambini vaccinati con prodotti contenenti tale conservante. Ci sono vaccini che contengono sali di alluminio aggiunti per ottenere una risposta immunitaria più efficace. Il contenuto di alluminio nei vaccini è dell’ordine di alcuni milligrammi (di solito variabile, nei vaccini ad uso pediatrico, da 0,3 a 0,5 mg). L’alluminio non è presente solo nei vaccini, ma è contenuto nel cibo, è presente nell’acqua potabile e anche nell’ambiente. E’, inoltre, presente nel latte materno e in quello artificiale. Se si seguono le raccomandazioni del calendario vaccinale, un bambino italiano riceve, nel primo anno di vita, attraverso i vaccini esavalente, pneumococco e meningococco B 4,3 mg, quindi poco più di 4 millesimi di grammo. Il carico di alluminio per l’organismo che deriva dai vaccini e dalla dieta nel primo anno di vita di un bambino è significativamente inferiore al livello di sicurezza stabilito dall’Agenzia Federale Americana che si occupa del rischio di tossicità dovuto alle sostanze chimiche (Agency for Toxic Substances and Disease Registry).
Per la preparazione di alcuni vaccini la formaldeide è utilizzata per inattivare il potere patogeno di un virus o un batterio e pertanto può essere presente, ma solamente in tracce, nella fiala. In un numero ristretto di vaccini è tuttora presente come conservante, ad una concentrazione non superiore a 0,1 mg. Nonostante si tratti di quantità veramente minime, sono stati sollevati dubbi sulla sua sicurezza: alte concentrazioni di formaldeide possono danneggiare il DNA e determinare mutazioni genetiche in colture di cellule (osservate in laboratorio, in situazioni sperimentali) e studi epidemiologici su categorie di lavoratori hanno individuato un aumentato rischio di cancro in seguito a massicce e/o prolungate esposizioni a questa sostanza. Occorre, però, considerare che la formaldeide è comuqnue presente nell’ambiente in cui viviamo: infatti, si trova nelle abitazioni in quanto è rilasciata dai mobili e da altri materiali comunemente presenti nelle case; inoltre, è presente in molti cibi (per esempio, 1 kg di pere contengono 39-60 mg di formaldeide, 1 kg di mele 6-22 mg), ed è prodotta addirittura dall’organismo durante il metabolismo. Normalmente, anche in assenza di esposizione ambientale, nel sangue è presente formaldeide in concentrazione intorno a 2-3 milligrammi per litro; in un bambino di 2 mesi la quantità totale di formaldeide è stimabile in circa 1 mg. La quantità somministrata al momento della vaccinazione non supera 0,1 mg, che è una quantità 10 volte più piccola di quella circolante nel sangue e quindi del tutto trascurabile.
Nei vaccini sono contenute nanoparticelle di metalli pesanti?
La presenza di nanoparticelle in alcuni vaccini è stata segnalata da due ricercatori italiani, Stefano Montanari e Anna Maria Gatti. Il termine nanoparticelle si riferisce a strutture che hanno almeno una dimensione nella scala “nano”, ossia inferiore a 100 nanometri (un nanometro equivale a un miliardesimo di metro). La metodica utilizzata da Montanari e Gatti consente di valutare la presenza di nanoparticelle, ma non di misurarne la quantità o la tossicità. Inoltre, ricercatori che studiano le nanoparticelle hanno sollevato alcune perplessità sulle modalità in cui è stata effettuata la determinazione in alcune formulazioni di vaccini: per esempio, non sono stati usati controlli e il modo in cui sono stati preparati i campioni da esaminare potrebbe avere favorito la formazione delle nanoparticelle. L’Agenzia francese del farmaco (ANSM – Agence Nationale de Sécurité du Médicamentet des Produits de Santé) ha esaminato alcuni vaccini, un farmaco iniettabile (atenololo) e la soluzione fisiologica, effettuando delle verifiche sia di tipo “qualitativo”, con metodiche di analisi simili a quelle impiegate da Montanari e Gatti, che di tipo “quantitativo”, misurando la concentrazione dei metalli nelle fiale di vaccino con un metodo che consente di dosare anche quantità molto piccole. La valutazione qualitativa (microscopio elettronico) ha osservato la presenza di nanoparticelle nei vaccini, nel farmaco e nella soluzione fisiologica, mentre la misurazione delle concentrazioni ha documentato che, con l’esclusione dell’alluminio nei vaccini quando usato come adiuvante, gli altri metalli non erano misurabili o, in alcuni casi, la concentrazione era estremamente bassa. Si può, dunque, affermare che le nanoparticelle sono presenti in tracce (nei vaccini, come anche nei farmaci e nella soluzione fisiologica), molto probabilmente perché si trovano nell’ambiente, e che la quantità eventualmente somministrata attraverso il vaccino è di molto inferiore a quella che quotidianamente assumiamo attraverso l’aria, l’alimentazione, l’acqua potabile. Nella sua valutazione, l’Agenzia Francese del Farmaco conclude che l’eventuale presenza di nanoparticelle di metalli pesanti non comporta un rischio per la salute.
Sono incinta, quali sono i vaccini da evitare? Quali, invece, quelli consigliati?
Alcune vaccinazioni sono raccomandate nel corso della gravidanza. La vaccinazione anti-influenzale è raccomandata nel corso del secondo e terzo trimestre di gravidanza, in quantogli studi disponibili hanno osservato un maggior rischio di complicanze influenzali (p.es. ricoveri in ospedale per polmonite) quando l’influenza si manifesta nella seconda metà della gravidanza. Alcuni studi hanno osservato un ridotto rischio di ammalarsi nei neonati da mamme vaccinate, ma non ci sono ancora dati conclusivi a questo riguardo. L’altra vaccinazione raccomandata è quella contro la pertosse (come vaccino trivalente difterite-tetano-pertosse): questa vaccinazione, somministrata nell’ultimo trimestre della gravidanza, protegge il neonato nei primi mesi di vita (attraverso gli anticorpi trasmessi dalla mamma al feto), periodo in cui la pertosse comporta i maggiori rischi. Ci sono delle vaccinazioni che sono raccomandate prima della gravidanza: quelle contro rosolia e varicella, due malattie che se contratte durante la gravidanza comportano importanti rischi per lo sviluppo fetale. Trattandosi di virus vivi attenuati, per cautela i vaccini morbillo-parotite-rosolia e varicella non dovrebbero essere effettuati nel corso della gravidanza, anche se i dati disponibili non indicano un aumento dei rischi. Per cautela è opportuno lasciar trascorrere almeno 4 settimane dalla vaccinazione al concepimento. In generale, la controindicazione all’uso in gravidanza vale per anche tutti i vaccini vivi attenuati (antitifica, febbre gialla).
Quando sono controindicati i vaccini?
Una precedente reazione allergica grave (reazione anafilattica) al vaccino o ad un suo componente è una controindicazione comune a tutti i vaccini. I vaccini di tipo vivo attenuato (p.es. morbillo-parotite-rosolia, varicella) sono, inoltre, controindicati in chi ha condizioni di salute o assume farmaci che comportano un grave deficit del sistema immunitario. La presenza di una malattia acuta grave o moderata costituisce, invece, un motivo per rimandare la vaccinazione. Questa precauzione non è dovuta a un maggior rischio di effetti collaterali da vaccino, ma alla difficoltà di distinguere un eventuale evento avverso del vaccino dal peggioramento della malattia. In caso di malattia lieve, per esempio raffreddore, è invece possibile effettuare la vaccinazione senza che questo comporti particolari rischi. I bambini e gli adulti con malattie croniche (p.es. diabete, asma, malattie autoimmuni), con disturbi neurologici o neuropsichiatrici (p.es. epilessia, autismo) o con malattie genetiche (p.es.sindrome di Down) possono essere vaccinati, a meno che non sia presente una grave depressione del sistema immunitario (in tal caso, come sopra riportato, sono controindicati i vaccini contenenti virus vivi attenuati). La presenza di malattie croniche può comportare un rischio più elevato di complicanze dovute alla malattia infettiva e i vaccini in questi soggetti sono fortemente raccomandati.
Una falsa controindicazione alla vaccinazione è rappresentata dall’allergia alle uova. Per quanto alcuni vaccini (morbillo-parotite-rosolia, antinfluenzale) nel loro processo produttivo vengano coltivati in cellule di embrione di pollo o in uova gli studi condotti non hanno osservato un maggior rischio di reazioni allergiche in soggetti con allergia all’uovo.
Ci sono esami per valutare se il bambino può essere vaccinato senza rischi?
Non ci sono al momento degli esami diagnostici in grado di prevedere in modo attendibile se il bambino svilupperà un effetto collaterale o una reazione allergica al vaccino. I cosiddetti “test pre-vaccinali” sono perciò inutili, in quanto non in grado di ridurre i rischi.
Cosa fare se il bambino dopo la vaccinazione ha febbre o dolore?
Gli effetti collaterali più comuni dei vaccini sono gonfiore e dolore al sito dell’iniezione e febbre. Si può alleviare il fastidio dell’iniezione ponendo un panno pulito e fresco sulla zona dolorosa e infiammata (p.es. un fazzoletto bagnato con acqua fredda). Se il bambino è particolarmente infastidito dal dolore si può somministrare il paracetamolo o, in alternativa, l’ibuprofene. Questi farmaci possono essere utili anche in caso di comparsa di febbre. A volte è possibile rilevare un piccolo nodulo non doloroso nel punto dove è stata fatta l’iniezione; non c’è di che allarmarsi: dipende da un reazione locale ed è destinato a scomparire spontaneamente nel giro di qualche settimana, senza lasciare cicatrici.
Cosa fare se si “salta” una vaccinazione?
Periodicamente il Ministero della Salute decide, con l’aiuto di esperti, quali vaccinazioni raccomandare, per quali fasce di età e quando effettuarle. Le indicazioni sono basate sulla necessità di garantire la miglior copertura possibile nei periodi in cui il rischio di ammalarsi e/o di avere complicanze gravi delle malattie è più elevato, come, per esempio, nel corso del primo anno di vita. Talvolta può capitare, per esempio perché il bambino non sta bene, di non poter rispettare le tempistiche del calendario vaccinale. Se si è saltata la somministrazione di una dose di richiamo, per molti vaccini è possibile completare il ciclo effettuando le dosi mancanti, senza dover necessariamente riprendere da capo (dalla prima dose). Per consigli o informazioni è necessario rivolgersi al pediatra, al proprio medico o al servizio vaccinale dell’ ASL. Per quanto possibile, è meglio seguire le raccomandazioni del Ministero della Salute ed effettuare i richiami nei tempi previsti; un ritardo può infatti esporre al rischio di contrarre malattie potenzialmente pericolose. Se, invece, il vaccino non è mai stato effettuato, lo schema di somministrazione (numero di dosi e distanza tra una dose e la successiva) potrebbe essere differente da quello previsto per i bambini piccoli. Per esempio, per un adolescente o un adulto che volessero vaccinarsi contro morbillo-parotite-rosolia (MPR) o per la varicella lo schema consigliato è la somministrazione di due dosi a un mese di distanza una dall’altra. Anche in questo caso, è necessario rivolgersi agli operatori dei servizi vaccinali per le informazioni sulle dosi da effettuare e sulle tempistiche.